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Attualità

RATZINGER, GIOVANE TEOLOGO

LIVIO GHIRINGHELLI - 15/03/2013

Il teologo Ratzinger a colloquio con il filosofo Habermas

Nato in Baviera nel 1927 il giovane Joseph Ratzinger, su sollecitazione di Gottlieb Shoengen, allora professore di teologia fondamentale all’Università di Monaco, a seguito della riscoperta del concetto di “Corpo mistico di Cristo” come descrizione teologica della Chiesa, affronta questo tema nella visione che ne ebbe Agostino.

Coronamento di questo movimento si è manifestata l’enciclica “Mystici Corporis Christi”, pubblicata da PioXII nel 1943. Serie e fondate critiche si sono però levate contro l’accentramento dell’ecclesiologia sul concetto di corpo mistico da parte del gesuita Erich Przywara e del domenicano Koster: il concetto di corpo mistico apparterrebbe alla dottrina della grazia, non all’ecclesiologia; significherebbe l’intima comunione tra Cristo e i fedeli, non la realtà visibile, comunitaria della Chiesa. Un adeguato concetto di Chiesa a esprimere al contempo la sua costituzione giuridica e la sua essenza spirituale è da ricavare soltanto dall’intera Bibbia. Corpo di Cristo è spiegazione di un singolo aspetto.

Ratzinger con una ricerca scritta nel 1950-51 e rielaborata per la stampa nel 1954 pubblica l’opera “Popolo e casa di Dio in Sant’Agostino” (Volk und Hausgottes Augustins Lehre von der Kirche, traduzione italiana per Jaca Book 1978). Le sue conclusioni, dopo avere studiato Agostino, si fondano su una rilettura cristologica dell’Antico Testamento e sulla concezione di una vita sacramentale centrata sull’Eucaristia.

Popolo di Dio è un asserto metaforico sulla Chiesa desunto dal Vecchio Testamento e ha un valore esclusivamente allegorico; corpo di Cristo invece esprime la realtà oggettiva della comunità, costituita in nuovo organismo dall’assemblea liturgica. Per la Civitas Dei non varrebbe l’interpretazione idealista predominante, ma neppure l’interpretazione teocratica. Il pensiero dell’opera si colloca all’interno della lettura cristologica, pneumatica, spirituale del Vecchio Testamento ed è patrimonio comune dei Padri.

La Chiesa è il nuovo popolo che trascende tutte le comunità terrene e acquista realtà unicamente nella tensione tra il terreno e l’intramondano e il Risorto. Tensione tra la lettera e lo spirito.

Non meno interessante il lavoro iniziato nell’autunno del 1953 in merito alla relazione tra storia della salvezza e metafisica per una vera comprensione dell’escatologia: San Bonaventura. La teologia della storia (edizione tedesca 1959, italiana Firenze Nardini 1991). Bonaventura nelle Collectiones in Hexaemeron presentate all’Università di Parigi nel 1273, sua opera conclusiva, a differenza di SanTommaso, non rifiuta totalmente la prospettiva di Gioacchino da Fiore, bensì lo interpreta piuttosto in modo ecclesiale, in alternativa al gioachimismo radicale, per conservare l’unità dell’ordine francescano. Nel febbraio del 1257 è stato richiamato dall’insegnamento per sostituire il generale Giovanni da Parma, decisamente schierato in favore delle profezie del calabrese. Bonaventura è salito alla Verna nel 1259 componendo l’Itinerarium mentis in Deum e ha poi atteso alla Vita di San Francesco (1260-63).

Nelle Collectiones, dal carattere frammentario anche per l’interruzione determinata dalla nomina a Cardinale, Bonaventura procede per allusioni, con uno stile arcano, apocalittico. Sei sono i livelli di conoscenza indicati allegoricamente nei sei giorni della Creazione, sei le età nella storia della salvezza. E nella Scrittura tre sono le aree di significato individuate: spiritualis intellegentia, figurae strumentales (Cristo e Anticristo), multiformes theoriae (rispecchiamento nella Scrittura dei tempi futuri).

La linea di senso della storia non conosce soluzioni di continuità, grazie alla conoscenza della storia sacra passata. Qui ci si ricollega all’interpretazione data da Gioacchino con la sua concordia veteris et novi testamenti. La Scrittura rimane certamente compiuta, ma il significato va ricercato in uno sviluppo continuo. L’illuminazione del passato vale come profezia dell’avvenire. Per la teologia tradizionale la storia si può tripartire nelle età della legge della natura, della Scrittura e della Grazia; Agostino nel De civitate Dei espone a sua volta le sette età da Adamo a Cristo, ma la parabola narrata da Cristo sugli operai nella vigna (Mt. 20, 1-16) introduce anche una visione della storia terrena in cinque età.

Nessuno degli schemi precedenti è adottato da Bonaventura che rapporta l’Antico e il Nuovo Testamento l’uno all’altro “come albero ad albero, come lettera a lettera, come seme a seme”, corrispondenza decisamente rifiutata da Agostino. La relazione si fa al contempo dinamica per origine dell’uno dall’altro e statica per essere l’uno di fronte all’altro. Sullo sfondo la definizione paolina di littera e spiritus. Comunque Bonaventura respinge inesorabilmente le aspirazioni che tendono a dividere il Cristo e lo Spirito, la Chiesa organizzata secondo un ordinamento cristologico e sacramentale e la Chiesa pneumatica e profetica dei nuovi poveri, con la pretesa di poter rendere presente l’utopia attraverso la loro stessa forma di vita.

Le due opere assumono un valore primario alla luce delle elaborazioni future del pensiero di Joseph Ratzinger.

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