Fermo Zeni per anni e anni è stato una figura cara ai cronisti che frequentavano il Pronto Soccorso dell’ospedale di Circolo. Fermo era l’infermiere incaricato del servizio notturno di collegamento con tutti i reparti. Preparato, educato, paziente, ricco dell’umanità e della scienza che
contraddistinguono i migliori infermieri, godeva della grande stima di medici e colleghi. Ha chiuso la pagina della sua vita a ottantasette anni, lascia un esempio di massima attualità, anche per i giovani che hanno l’opportunità di laurearsi in scienze infermieristiche.
Nella storia di qualsiasi comunità ci sono stati e ci saranno personaggi di rilievo, degni di memoria: tra qualche decennio ci saranno cronisti che ricorderanno i Fermo di oggi che agiscono in un contesto sanitario e assistenziale ben diverso rispetto agli Anni 60 e 70. Allora da tutto l’ospedale, un ospedale accogliente e già ricco di uomini di grande scienza, veniva vissuto un periodo di sviluppo intenso, di ottimo servizio alla comunità e ben gestito da persone che non erano costrette dalla follia politica a far ingoiare alla popolazione situazioni inaccettabili.
La scomparsa di Fermo riporta il cronista al mondo piccolo di un Pronto Soccorso di grande efficienza, dove, nel rispetto dei ruoli, si era formata una comunità scattante sul lavoro, ma pronta a condividere eventuali momenti di serenità. Accadeva d’inverno, in qualche notte di metà settimana, quando per esperienza si sapeva che ci sarebbero stati ampi i margini di tranquillità durante il servizio in Pronto Soccorso. In quelle pause poteva succedere che i panini imbottiti forniti dalla cucina per lo spuntino di mezzanotte si arricchissero di primi piatti rapidamente preparati su un fornellino: niente di eccezionale, ma era un momento anche di fraternità. C’erano infermieri bravi cuochi, succedeva che degli spaghetti fatti di nascosto, proprio alla… carbonara, qualche medico di altri reparti venisse a conoscenza e quindi si presentasse per scroccarne una razione. Se l’episodio si ripeteva l’ospite non gradito veniva purgato in misura devastante e non lo si vedeva più. Potenza del Guttalax che non ha sapore e odore.
La squadra del Pronto Soccorso guidata da Ermanno Montoli era composta da una dozzina di medici e da meno di venti infermieri, i pazienti assistiti erano oltre duecento al giorno, ma si arrivava a punte di trecento – trecentocinquanta: non ci sono mai state proteste clamorose, la gente del resto poteva rendersi conto dell’impegno di tutti.
Tempi e procedure oggi sono diversi, a volte occorre avere pazienza, inoltre dietro il lavoro che viene svolto in Pronto Soccorso non c’è adeguata ricettività, mancano i posti letto. E c’è anche un fattore che non viene mai preso in considerazione: la caccia al possibile errore del medico. I camici bianchi sono presi di mira, i sanitari dietro ogni paziente vedono un avvocato. È un problema nazionale di vasta dimensione. Per di più i medici non sono supportati adeguatamente dalle istituzioni per le quali lavorano.
Se in un Pronto Soccorso ci sono attese che si prolungano a volte è per scrupolo professionale, si vuole avere certezze assolute in termini di diagnosi, inoltre ci sono accertamenti che richiedono tempo.
Può essere che a frenare i controlli siano anche i ritardi degli specialisti impegnati nel loro reparto, dopo di che è normale che l’attesa diventi lunga oltre misura e i pazienti protestino. Decenni or sono dopo le prime cure e i primi esami il paziente dal Pronto Soccorso, se era necessario, passava subito in reparto. I posti letto erano il triplo.
Oggi nella nostra provincia si muore perché la burocrazia ti impone il ricovero nel tuo ospedale di riferimento dove magari non ci sono specialità e specialisti che ti possono salvare la vita e allora quattro ore e mezzo dopo aver invano cercato il posto letto adatto a Legnano, Varese e Como, sedi di neurochirurgie, ti portano in elicottero a Gravedona dove non possono salvarti perché lo avrebbero potuto fare solo molto tempo prima. L’emorragia cerebrale va fermata subito.
Se un sistema sanitario indicato come il migliore d’Italia di fatto non strappa alla morte un suo cittadino perché per l’intera provincia di Varese, oltre ottocentomila abitanti, ci sono appena venti posti letto destinati alla neurochirurgia, credo sia giusto parlare di follia politica.
Ed ecco perché il vecchio cronista ricorda volentieri la sanità d’un tempo e i suoi protagonisti, anche se semplici infermieri.
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