È bastato il tiepido sole di una bella domenica d’inizio marzo… È bastata un po’ di neve rimasta sulle cime del monte a richiamare famiglie e bambini con slittini… È bastata la riapertura di un museo religioso, il Baroffio… Il tutto aggiunto all’imprevidenza del Comune di Varese che non ha mandato per tempo neppure due vigili urbani a bloccare la risalita delle auto verso il Sacro Monte e il Campo dei Fiori… Non poteva che uscirne un ingorgo di proporzioni colossali. Traffico in tilt, contumelie condite da tanta diseducazione automobilistica. Tutti bloccati in salita, in un cul de sac col ritorno quasi impossibile.
Insomma un pomeriggio che doveva essere di riposante divertimento ridotto a depressione collettiva. Detto in termini generali, in poche ore sono andati distrutti centinaia di migliaia di euro di pubblico denaro speso nelle varie Fiere, in Italia e all’estero per promuovere l’immagine turistica di Varese e della sua montagna. Bel risultato.
È da sessanta anni ormai da quel 1953 quando furono fermate le funicolari e stravolto il sistema varesino dei trasporti urbani che la nostra montagna attende una soluzione ragionevole per farla vivere nell’insieme cittadino. Sessant’anni di convegni, studi, progetti… Tante e infinite parole, tanti soldi spesi ma risultati assai pochi. Un altro anniversario da celebrare criticamente, che fa tanta tristezza per chi ama Varese.
Se la fine del Teatro Sociale, nello stesso maledetto 1953, era passata tra il cordoglio o l’indignazione di pochi varesini non così fu per la fine delle funicolari, motivo di giusto orgoglio cittadino. L’evento era atteso. Ci si era avvicinati a cavallo del 1950. Qualche anno prima erano andate via via a scadere le concessioni quarantennali accordate per l’esercizio dei percorsi tramviari Belforte-Bobbiate, Bizzozzero-Masnago, Varese-Sant’Ambrogio-Prima Cappella… Un reticolo intelligente di trasporti pubblici che dal decennio iniziale del secolo scorso aveva permesso ai varesini di muoversi nella loro città usufruendo di un moderno collegamento rioni-centro. E, con la creazione delle funicolari, l’offerta di un servizio rivolto ben oltre Varese, in speciale modo verso la grande metropoli milanese, valorizzando sia i valori religiosi di Santa Maria del Monte sia sopratutto l’investimento nel magnifico Grand Hotel del Campo dei fiori. Una visione complessiva di promozione di un territorio portata avanti da avveduti e coraggiosi finanzieri raccolti nell’intreccio tra le società Grandi Alberghi e le Ferrovie Nord Milano.
I tempi erano cambiati, la redditività anche. I gestori delle linee tranviarie già da tempo chiedevano al Comune sovvenzioni pubbliche per continuare il servizio. Per qualche tempo qualche aiuto venne dato per garantire il mantenimento di alcune corse serali. Di fatto le concessioni gestite dalla SVIT non vennero rinnovate alla scadenza. Poco male pensarono in molti. I vecchi tram bianchi sulle medesime linee vennero sostituiti da autopullman noleggiati dal comune di Varese che assunse direttamente la gestione del servizio per qualche tempo fino alla costituzione della sua Azienda municipalizzata.
Ma le funicolari? Furono le grandi dimenticate dagli amministratori pubblici della città. Indimenticate e indimenticabili invece per la quasi totalità dei varesini il cui rincrescimento fu veramente ampio. Nessuna famiglia con quelle funicolari, una o più volte nella vita, aveva mancato di mettere piede al Sacro Monte o al Campo dei fiori cogliendo sempre belle sensazioni e riportando ottimi ricordi . Erano i picnic (che allora erano “colazioni al sacco”) consumati sull’erba o nelle ombre del Ceppo con le sue fresche fontanelle. Erano le gite premio anche per i piccoli che si erano ben comportati a scuola. Da sempre luogo di pellegrinaggi e della religiosità dei varesini di ogni età la montagna di casa era anche assai nel cuore di tanti giovani. Le ragazze si facevano l’abbonamento quindicinale tram-funicolare per andare sul monte a prendersi una economica tintarella. Con la giovane fidanzatina noi ragazzi si raggiungeva nei pomeriggi festivi il ristorante (quello di un bel Liberty) vicino alla stazione della funicolare del Campo dei Fiori dove si ballava fino a sera.
E le giornate invernali? Le abbondanti nevicate accolte come manna che offriva economiche sciate a chi non aveva i soldi per andare al Mottarone o a Macugnaga. Una bella risalita in funicolare, sci (pesanti) in spalla e via per una bella camminata fino al pratone sotto Punta Paradiso per godersi solo qualche discesa dopo sudate salite verso la vetta.
A qualcuno sono rimaste nel cuore anche alcune vere e proprie gare vissute con grande entusiasmo agonistico da atleti e da spettatori. Si sciava da sotto le Pizzelle in giù fino al Ceppo. Un percorso oggi invisibile, invaso da piante e arbusti. Ne nasceva un tracciato a pettine con porte strette. Un ottimo slalom, che dico, una “discesa obbligata” così chiamata allora perché il fascismo vietava esterofilie! Emozioni, ricordi, un po’ di cuore lasciato lassù, portato da quelle funicolari.
Collegare il Sacro Monte e il Campo dei Fiori coi mezzi pubblici su gomma, anziché integrare il monte alla città ha finito per essere un fallimento. La successiva esplosione della motorizzazione privata ha fatto il resto. Errori tanti. E non sono ancora finiti. Col progetto ormai avviato di un autoparcheggio interrato alla Prima Cappella, invece che più avanti, c’è da essere certi del definitivo seppellimento delle funicolari.
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