Vi sono due libri che più di altri hanno concorso a fare la storia del nostro Paese, almeno dal punto di vista della tradizione e del sentimento nazionale: il primo è “Le avventure di Pinocchio”, di Carlo Lorenzini, detto Collodi, l’altro è “Cuore”, di Edmondo De Amicis, pubblicati entrambi a poco più di vent’anni dalla nascita dell’Italia, l’uno nel 1883 e l’altro nel 1886.
Si dirà che nell’epoca dei computer, dei tablet e degli iPhone, due libri – per lo più “Pinocchio” e “Cuore”, e soprattutto quest’ultimo bistrattato dai soloni che ne hanno sempre e soltanto voluto vedere non già il manifesto di una sana moralità ma di un inutile e vuoto buonismo – sono roba da tenere a marcire negli scaffali, o magari anche da gettare nel cestino della carta straccia.
Invece bisognerebbe rileggerli e usarli come manuali di meditazione. Per ritrovarvi da una parte – Pinocchio – quasi il prototipo dell’italiano medio, testardo e fannullone come soltanto può esserlo un burattino dalla testa di legno, che però infine diventa un bambino vero in carne e ossa, un “ragazzino perbene”; e dall’altra – Cuore – una sorta di vangelo dell’onestà, della solidarietà e dell’attaccamento al dovere. Valori da tutti sbandierati e sempre poco praticati.
Quando, e siamo ancora agli inizi della storia, a Pinocchio capita di colloquiare con il Grillo-parlante (Grillo, guarda caso), così risponde alla domanda su quale mestiere gli piacerebbe fare: “Quello di mangiare, bere, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo”.
Della testardaggine odierna di tanti gruppi – politici e no – che bene tuttavia hanno rappresentato la stratigrafia nazionale è meglio non parlare ancora. Chissà, magari un giorno, le cose potranno cambiare. Per adesso continuiamo a nutrire poco comico pessimismo.
In quanto al Grillo – quello del romanzo collodiano – ecco come egli rispondeva al Burattino che aspirava al mestiere poco impegnativo del fanigottone: “Per tua regola tutti quelli che fanno codesto mestiere finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione”. Sembrerebbe una profezia, alla luce di quanto è accaduto e sta accadendo.
È vero che certi paragoni letterari sono di fatto improponibili. Ma tutti sappiamo come andò a finire la storia dei consigli di buon senso nel romanzo: “ …Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante. Forse non credeva nemmeno di colpirlo, ma disgraziatamente lo colse per l’appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe appena il fiato di fare crì-crì-crì, e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete”.
Potremmo scommetterci: è una fine che, sotto sotto, in cuor loro, molti oggi vorrebbero far fare a quell’altro Grillo vociante nelle piazze (anche il premier Monti, che da par suo ha indossato la palandrana del grillo… disneyano; e anche certi osservatori germanici). Sempreché non ci sia uno scambio o una pirandelliana sovrapposizione di ruoli. Perché anche Luigi Pirandello, alla pari di Carlo Collodi e di Edmondo De Amicis, era un grande italiano.
A impedire che ciò avvenga, magari, non è tanto il bon ton, ma il fatto che i “grilli” urlanti stavolta sono milioni. Da una parte e dall’altra. Il loro crì-crì-crì continua a salire alto nel cielo. Troppi i martelli da usare, e poi si rischia di sbagliare la mira.
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