Un libro, un diario o ancora di più un testamento da consegnare al più caro tra i figli.
Sono duecentocinquanta pagine di buon senso scritte con affetto, con l’occhio limpido di un bambino che non ha mai smesso di guardare al mondo e alla vita con innocente curiosità e disincantato realismo. Ma è anche la delicata sceneggiatura di un grande regista, l’autore dell’Albero degli zoccoli, della Leggenda del santo bevitore, di CamminaCammina e Centochiodi, del recente Il Villaggio di cartone (2011). Mentre ripercorre la propria vita, Ermanno Olmi, classe 1931, Leone d’Oro alla carriera nel 2008, guarda a sé stesso, più che come al protagonista di una vicenda umana e professionale vissuta in serenità e pienezza, al fortunato compagno di viaggio di persone amate, “quelle cui sono grato e che ricordo con gioia”. “Trascuro invece – scrive – chi mi ha ingannato e persino derubato. Se potessi ricominciare daccapo cercherei di capire gli animali, gli alberi, le stagioni, i colori, il giorno e la notte, perché gli uomini rimarranno sempre un enigma”.
In “L’apocalisse è un lieto fine” (Rizzoli editore) autobiografia del regista sottotitolata “Storie della mia vita e del nostro futuro” c’è il dono raro di certe letture ormai introvabili. E il gusto di uno stretto colloquio tra autore e lettore che si dipana in tanti racconti e momenti: di vita, di incontri, di dubbi e successi, di esperienze umane e di lavoro. Non un attimo del libro appare distante o sospeso. Tutto scorre sotto i nostri occhi, ora e accanto a noi, come la pellicola di un film dove le immagini si succedono nitide, legate dal filo stretto della voce narrante. Scorrono le case della vita, la casa povera e la casa borghese: quella della nonna materna, una contadina bergamasca dai capelli rossi, rifugio estivo di un’infanzia svagata, col grande camino e la cucina dove si ritrovano tutti, e quella paterna, un casa di ringhiera alla Bovisa, regno della nonna milanese, moglie di un macchinista delle ferrovie. Nel rione della Bovisa cresce Ermanno, “tra gasometri e ciminiere, lo scalo merci col fumo delle locomotive, e i capannoni coi tetti a denti di sega”. Scorrono insieme gioie e dolori, gli anni di paura della guerra, lo sfollamento per tre anni sul Lago Maggiore, la morte del padre nel ’44, in seguito a un bombardamento, che lo lascia orfano a soli tredici anni. E scorrono tra pagina e pagina anche le esperienze professionali del ragazzo Ermanno, dai primi incerti lavori agli incontri decisivi e importanti, alle amicizie per sempre: Federico Fellini e la sua rocambolesca fantasia, Rossellini, seduttore di grande aplomb, Tonino Guerra il poeta, Tullio Kezic il critico-amico. E l’instancabile Mario Soldati, innamorato cotto (e respinto) della “sua” attrice Alida Valli, che invece flirtava nascostamente sul set di “Piccolo mondo antico” con l’assistente di lui, Rossellini.
La stesura del libro, anche questa “in presa diretta” per il piacere del lettore-spettatore, ci riporta all’estate del 2012. Il regista scrive e appunta riflessioni e ricordi nella quiete della casa di Asiago, nell’altipiano dove Olmi ha fatto l’abitazione definitiva, lasciando Milano e scegliendo di vivere con moglie e figli a contatto con la natura, la terra madre alla quale lui guarda come vera, sola àncora di salvezza. “Non abbiamo ancora capito – o non vogliamo capire – quanto vale una zolla di terra fertile o un bicchiere di buona acqua. Viviamo da ricchi una condizione di miseria: per andare avanti, qualche volta, bisogna prima tornare indietro. Non è un gioco di parole. Per ricominciare occorre liberarci da questa ragnatela fallimentare che ci tiene ancora impigliati in criteri e sistemi d’economia basati sulla concentrazione di grandi numeri e grandi profitti…ma niente ha superato né sostituito la civiltà agricola. L’unica, vera, insostituibile civiltà che si può definire compiuta è quella contadina… ”.
Olmi è un uomo ricco per umanità e per la sua cultura vastissima, per saggezza e semplicità. Un mix raro di doti, celate dietro la bonomia dei modi, che si incrocia anche nelle pagine del libro, autentico film di un’esistenza ben vissuta e che ancora guarda avanti e attorno con occhio disincantato. Olmi racconta la sua idea sul mondo e sulla vita, su bene e male, su denaro e società del benessere, sul connubio tra scienza e sapienza, sull’arte e naturalmente sul cinema, che, rassicura non è affatto morto, tanto meno in Italia. E non si tira indietro nel dare giudizi tranchant, osservando preoccupato le derive di un momento davvero difficile per il nostro paese e per l’intera Europa, della quale è convinto sostenitore. “Sono un cittadino comune che sta cercando di capire cosa sta accadendo a questa nostra Europa in difficoltà. Doveva essere una nuova idea di patria oltre i confini delle singole nazioni. Un’Europa che voleva unirsi, ma che ancora oggi fa fatica a essere anche solo un aggregato economico-politico. L’idea di patria allargata oltre i sistemi economici non ha preso piede, anzi, ha nutrito un manipolo di rabbiosi detrattori. Non sono rari i gruppi che si intestardiscono a portare indietro la storia con nazionalismi e localismi insensati. ..le nuove nazioni saranno quelle fondate su comuni principi di civiltà, nel rispetto di questa nostra casa comune che è la Terra. Tutto questo già avviene con le patrie dell’arte, della musica, dello sport e della scienza. Al laboratorio del Cern di Ginevra una grande famiglia di ricercatori sta indagando nuove frontiere del sapere: il bosone di Higgs, la cosiddetta ‘particella di Dio’. La loro patria comune è la scienza. Ma la patria di tutti, che deve presiedere ogni altra, è la patria della democrazia. In particolare per voi giovani: adesso è venuto il vostro tempo. Non fate come noi, che ci siamo accontentati di affermare i principi della democrazia e non abbiamo vigilato abbastanza sui nostri comportamenti. Oggi, i fondamenti della nostra Costituzione sono in pericolo. È sotto gli occhi di tutti il rischio che si scivoli lungo una china dove i principi di giustizia e di solidarietà potrebbero essere incrinati dagli interessi di pochi. La democrazia è un’affermazione di civiltà e insieme un atto di amore”.
In tanta preoccupazione c’è però anche più di un messaggio di speranza e la fede in un domani senza notte e senza fine che darà ragione “all’umanità dei retti e dei puri di cuore”.
Il suo esempio è anche di chi non smette di fare del proprio quotidiano lavoro l’antidoto contro il pessimismo e le derive esistenziali. La sua agenda comprende impegni fissati da anni. La scorsa estate, per realizzare il documentario “L’acqua e il pane di ogni giorno” – da proiettarsi all’Expo del 2015 – è sceso dall’elicottero dal versante italiano sul ghiacciaio principale del Monte Bianco, a 4800 metri. Con guide specializzate e ramponi ai piedi, seguito dalla troupe con le pesanti attrezzature di ripresa, è riuscito a strappare immagini uniche, prima di ordinare bruscamente alla troupe di mettere via tutto in vista di una bufera. È il 10 luglio del 2012. Il giorno dopo sul versante francese è tragedia. Dal pendio del Mont Maudit si stacca un seracco e una valanga investe una cordata di alpinisti uccidendone nove.
È un’altra pagina di vita, seppur bella e drammatica insieme. Ma è soprattutto il segno comune di un cammino che lo accompagna da sempre verso un’unica meta. Esattamente là, dove l’amore per la natura e il bello coincidono per lui nella massima espressione artistica: quella del creato.
You must be logged in to post a comment Login