Donne capaci di una femminilità garbata anche nel disagio più profondo: sia essa un velo di rossetto appena accennato sulle labbra o al collo sempre lo stesso variopinto foulard o una catenina dono di un affetto, magari lontano nel tempo e nei luoghi.
Donne che non si stancano di accompagnare con la grazia di un sorriso riconoscente la mano che si allunga a ricevere il sacchetto della cena, dopo avere atteso nella fila lunga di povertà e umili occhi bassi. Sono tante le donne assiepate in via Luini nelle sere di ogni stagione. Almeno una cinquantina delle circa duecento persone che afferiscono alla mensa sono ragazze, madri, mogli, anziane, cui la vita oggi regala un destino che sicuramente nessuno dei loro pensieri sul futuro aveva previsto.
Non esiste età per definire la grandezza della fatica che le accomuna: il passo stanco della pensionata incurvata dagli anni che, quasi a volersi scusare, racconta che con “quei pocc danée che me dann, ghe la fò proprio mia” risuona allo stesso modo dei tacchi svelti della giovane mamma con al seguito due gemellini di pochi mesi nel passeggino e l’altra, poco più grandicella, trotterellante di fianco.
Donne in fuga, esuli, alle quali la fame o la guerra nei paesi d’origine ha messo sulle spalle il medesimo fardello di paura e nostalgia dei loro uomini, fratelli, padri, figli. Se mai li hanno ancora questi uomini da qualche parti ad attenderle.
Donne che tengono per mano i loro bambini silenziosi e dagli occhi attenti nel cercare di capire perché mai la loro cena richieda una quotidiana processione di attesa al freddo dei nostri inverni o sotto il sole delle nostre estati. Quando i loro compagni di scuola raccontano invece altre vite.
Donne che chiedono una tavoletta di cioccolato, un dolce, un po’ di latte in più se i bimbi sono ad attenderle in una casa di un solo locale o condivisa con altri. Non rinunciano al prezioso gesto materno di portare un dono, queste madri, forti di una disarmante femminile capacità di pensare prima ai figli che a loro stesse. Per tante di loro i figli sono invece lontani, affidati a parenti rimasti nella terra d’origine. E allora capisci che anche il cuore di queste madri è restato là, a coltivare il desiderio di una vita migliore: rinunciano a tutto e per sé tengono il poco che basta a sopravvivere. Quanto raccolgono, con il frutto del loro lavoro di domestiche o badanti, diventa tesoro prezioso da custodire e inviare a migliaia di chilometri di distanza, nell’attesa di un ritorno sospirato.
Donne capaci di una solidarietà che la fatica e la povertà rafforzano, come è per quella signora che ogni sera conduce con sé il figlio di un’amica, che a quell’ora è già impegnata a lavare stoviglie in un ristorante. Sarebbe solo quel ragazzino claudicante dall’aria smarrita se un’altra donna non si prendesse cura di lui. Solo con un handicap che ne rallenta l’incedere e ne smorzerebbe ancora di più il sorriso.
Donne nelle quali una vita insicura non riesce ad azzerare i sogni e la tenace speranza di un domani diverso: è la bella storia di una ragazza che, appena adolescente, qualche anno fa era presente ogni sera, in compagnia di due fratellini più piccoli, a ricevere l’offerta della cena per l’intera famiglia, che si componeva a quel tempo anche di una sorellina neonata. Esile e gracile arrivava con uno zainetto in spalla e i fratelli per mano. Iscritta a una scuola superiore della nostra città rubava le ore al sonno china sui libri per “non deludere chi ci dà una mano” con un aiuto per i libri e la cancelleria, qualche golfino, una montatura di occhiali dimessa per sostituire i suoi che, rotti, erano tenuti debolmente insieme con dello scotch. Solida e tenace nel carattere, si è diplomata, dopo un percorso di studi bello, positivo. Senza mai sottomettere la costanza alla paura di non farcela, ha tenuto fermamente il passo con la propria storia di giovane donna in crescita. È una gioia adesso conoscerne i semplici nuovi traguardi, di lavoro e degli affetti.
Donne nella cui storia di oggi c’è il sapore antico di rinunce che abbiamo sentito solo nei racconti delle nostre nonne o madri, ai tempi di una fatica del vivere che a noi è stata evitata. Donne che, come la saggezza di quei racconti, hanno molto da dirci.
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