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Ritenevo quasi imperdibile per il centrosinistra la sfida nazionale ma molto difficile quella regionale. Per tanti motivi, sia contingenti che consolidati nel tempo.
Intanto, le elezioni nello stesso giorno per Milano e per Roma hanno reso possibile l’accordo Maroni-Berlusconi, un puro scambio di interessi con nessuna stima reciproca e finalità molto diverse: tu sopravvivi a Roma (poi al Cavaliere è andata molto meglio) io mi insedio al Pirelli e da qui organizzo la “resistenza” del Nord al probabile governo Bersani.
L’ex ministro dell’Interno era la persona giusta per far dimenticare almeno lo scandalo più inquietante, quello delle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel sistema regionale. Ma non vanno sottaciute le ragioni profonde della debolezza della sinistra nella regione più evoluta, avanzata e produttiva. Come mai dopo avere conquistato Milano l’anno scorso, e metà Lombardia nelle comunali degli ultimi due anni, ci siamo fermati sul più bello?
Perché il voto per la Regione è più politico che amministrativo e il modello milanese non vale in tutta la Lombardia. La sinistra si è sempre capita meglio con Milano che con gli altri territori. Non è ancora riuscita a trovare un linguaggio di sintesi che sia convincente anche nelle valli, nei paesi, nelle periferie. Ha poca empatia con i lavoratori non sindacalizzati, i giovani, i precari, le piccole imprese, gli artigiani, il microcapitalismo. Per la sinistra un dramma, inutile negarlo.
Il PD è andato abbastanza bene (25,3%) ma la coalizione, pur senza confini a sinistra e con una lista di ex UDC, è andata male. Maroni aveva tre potenti frecce all’arco, Lega, PDL, lista Maroni. Noi soltanto due, PD e lista Ambrosoli, che non ha sfondato.
Il resto ha contato poco o niente. Il successo del M5S, peraltro inferiore rispetto al resto d’Italia, non spiega tutto, niente affatto.
L’ultima fase di Formigoni è stata bruttissima ma se butti via tutto il suo ventennio, i lombardi non ti credono e non ti seguono. L’aveva capito lo stesso Ambrosoli quando sulla sanità ammoniva: “Il rapporto pubblico-privato va salvato dalla corruzione ma è un’eccellenza lombarda”.
Il fatto è che una parte rumorosa della coalizione lanciava un messaggio opposto creando confusione. L’allarme urbanistico-ambientale, per fare un solo esempio tra i tanti, è risultato invece troppo debole. La cementificazione non è una balla e il consumo abnorme del suolo è un’amara realtà. Ma qui siamo stati afoni mentre le responsabilità della Regione sono pesanti. Umberto Ambrosoli è una piacevolissima persona. Molto umano, serio, aperto e leale. Ma era conosciuto solo a Milano (nel centro) e non ha avuto il tempo per lanciare una grande campagna elettorale. Lo si è sentito in modo incisivo solo verso la fine. Era stato anche presentato in modo sbagliato: “Siccome non ha mai fatto politica è la persona giusta”. Come dire: anche noi del centrosinistra abbiamo scheletri nell’armadio. Un messaggio devastante. L’ultimo lascito, spero, del caso Penati che ci è costato moltissimo.
Ora Maroni sta festeggiando, ha perso un sacco di voti ma colpito il bersaglio grosso. Non commettiamo l’errore di dire che la sua sarà una pura continuità con Formigoni. Non sarà così, prepariamoci. Ora viene anche per lui il difficile con il 75% delle tasse da trattenere sul territorio e con la rivincita del Nord, ma cosa significa?
Sono un accanito avversario della macroregione. Nello Statuto della Lombardia sta scritto “collaborazione e integrazione fra le regioni padano-alpine”. Questa è la strada giusta. Quando sento certi richiami al centralismo ministeriale rabbrividisco. Una società complessa come la nostra non può essere guidata e amministrata da Roma. Una vecchia e pericolosa illusione che il Nord “seppellirà con una risata”.
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