Il risultato delle ultime elezioni dimostra soprattutto una cosa: la suprema incapacità della classe politica di guardare alla realtà nell’interesse del Paese. Che cosa è avvenuto, in sintesi da parte dei grandi partiti. Ad un gesto di grande responsabilità, quale quello di appoggiare con coraggio il governo di Mario Monti per superare una gravissima crisi finanziaria, non é corrisposta per nulla una volontà di affrontare i nodi istituzionali che da decenni appesantiscono la dinamica della società. E così, mentre il governo metteva in atto una rapida e drastica manovra destinata a pesare fortemente sul tenore di vita e sulle speranze di lavoro degli italiani, i partiti non hanno fatto nulla, tranne un piccolo taglio ai rimborsi elettorali, sul fronte dei costi della politica, sulla riduzione del numero dei parlamentari, sull’abolizione dei privilegi, sulla riduzione della spesa, sulla semplificazione della struttura istituzionale. E così i partiti hanno continuato a mettere paglia sul fuoco dell’antipolitica. Lasciando che si instaurasse una pericolosa convinzione: quella secondo cui é sufficiente indicare i fini senza avere l’obbligo di mettere a fuoco gli strumenti necessari per realizzarli. Con una variabile in più: talvolta se vengono indicati gli strumenti spesso la loro applicazione porta a risultati contrari a quelli enunciati.
Facciamo qualche esempio concreto. Il problema principale e da tutti riconosciuto è quello del lavoro. L’occupazione, soprattutto dei giovani, é giustamente nell’orizzonte delle promesse di tutti i partiti. Gli strumenti per affrontare questo problema sono diversi. Grillo propone la “decrescita felice”, in pratica non importa se non c’è lavoro per tutti, chi non lavora dovrà avere un sussidio di disoccupazione, elegantemente chiamato “reddito di cittadinanza”, pagato con i soldi pubblici. Anche il PD prevede un intervento dello Stato per finanziare nuovi lavori pubblici, per assumere persone nella pubblica amministrazione, per migliorare i sussidi. Il PDL punta sulle tasse chiedendo di abolire le imposte per cinque anni per le imprese che assumono i giovani (ma come mai non lo hanno fatto quando erano al Governo?).
In pratica tutti chiedono che lo Stato spenda di più o incassi di meno. Ma a questo punto bisognerebbe domandarsi: perché l’Italia cresce meno degli altri Paesi e proprio perché cresce meno non riesce a creare nuovi posti di lavoro e fa sempre più fatica a conservare quelli esistenti. I fattori sono essenzialmente due: la perdita di competitività, che rende più costosi e meno innovativi i prodotti italiani, e il calo dei consumi interni derivante in piccola parte dall’aumento delle imposte, ma in gran parte da un calo demografico che non ha paragoni in Europa. Le proposte della politica (e dell’antipolitica) vanno nella direzione di aiutare le imprese ad aumentare la propria competitività e le famiglie ad avere più figli?
Non sembra proprio. Anche perché le vere soluzioni non sono facili e gli strumenti a disposizione sono altrettanto necessari quanto di difficile attuazione. E così continua la politica degli slogan, dei veti, del fumo negli occhi della protesta. Il problema è che destinare, come è necessario, risorse alle imprese e alle famiglie è possibile solo con un drastico taglio della spesa pubblica e con la riduzione del debito attraverso la vendita del patrimonio dello Stato: due elementi che richiedono il coraggio dell’impopolarità.
L’Italia ha vissuto per dieci anni dall’avvio dell’euro al 2009 in condizioni di grande favore finanziario soprattutto con un basso livello dei tassi di interesse grazie alla moneta unica. Sarebbero stati anni più che favorevoli per attuare con gradualità ed attenzione quelle riforme che ha dovuto avviare in fretta (e malamente sull’onda dell’emergenza) il governo Monti.
Se la politica ritrovasse la strada degli accordi, o almeno dei compromessi, quelle condizioni potrebbero ritornare offrendo così anche alle imprese l’ossigeno necessario per crescere e consolidarsi. Ma così non sembra essere: dopo le elezioni c’è una grande forza, quella di Grillo, che vuole distruggere la politica, e poi ci sono gli altri partiti che sembrano voler continuare a dimostrare che Grillo ha più di una ragione.
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