Non c’è stato alcun black-out per l’iscrizione obbligatoria on-line, quest’anno, all’istituto paritario Rosetum che ha puntato, come sempre, sulla tradizione: “No, nessun problema – conferma il preside Filadelfo Ferri, ex direttore del Centro storie locali dell’Università dell’Insubria, da tre anni a capo dell’Istituto di Besozzo –; fin dal primo incontro noi ci teniamo a stabilire un contatto diretto con le famiglie che ci scelgono per la nostra impostazione educativa. Abbiamo la solita modulistica da compilare ma, al momento di iscrivere i figli, i genitori non vanno in segreteria, vogliono parlare con il preside e con i docenti. L’iscrizione non è un semplice adempimento burocratico. Da un lato implica la conoscenza e la condivisione di un progetto formativo, dall’altro dà vita a un contratto fra le parti con importanti implicazioni economiche. Ben vengano comunque le nuove tecnologie, senza tuttavia rinunciare alla stretta di mano e a guardarsi dritto negli occhi”.
L’istituto di Besozzo, attivo dal 1924 e gestito dalle suore svizzere della Santa Croce, ha oltre duecento allievi, di cui novanta iscritti ai corsi della scuola primaria, sessanta alle medie e gli altri al liceo linguistico. Come tutti gli istituti paritari, ha sentito in questi anni i morsi della crisi. In provincia di Varese il calo degli iscritti ha colpito particolarmente gli asili parificati, sedici, che vengono scelti da sessantaquattro famiglie su cento e accolgono 1430 bambini su un totale di 2516 che frequentano le materne.
Il calo è colpa della spending review? Dai tagli voluti dal Governo Monti? “Prima di farne una questione economica, direi che la colpa è di un modo sbagliato di vedere la scuola paritaria – risponde Ferri –. La legge n. 62 del 2000 sulla parità scolastica stabilisce che gli istituti parificati sono pubblici e sancisce il principio che ciò che è pubblico non deve essere necessariamente di stato”.
Insomma, i gestori della scuola pubblica possono essere anche le associazioni, le cooperative private, gli enti no-profit e gli istituti religiosi in coerenza con ciò che stabilisce la Costituzione, che è la Bibbia della nostra democrazia. “Se il termine democrazia significa pluralismo, i diversi corpi della società e non solo lo stato devono potersi fare portatori di un’offerta formativa – osserva il preside –. Mi chiedo quale concetto di società abbia chi ritiene che soltanto lo stato ha titoli per fare scuola. La spending review razionalizza la spesa statale, d’accordo, ma siamo sicuri di risparmiare eliminando gli istituti gestiti dai privati? Se le scuole parificate chiudessero bottega perché non possono più sostenersi, lo stato sarebbe costretto a subentrare per garantire il servizio. Con quali conseguenze sui bilanci? I competitor privati sono di stimolo a migliorare la qualità del pubblico. I monopoli non giovano a nessuno”.
Non conta dunque chi gestisce la scuola, ma la qualità dell’insegnamento. L’Università Bocconi di Milano è privata, per citare un istituto di prestigio. A Varese sono privati il collegio arcivescovile alberghiero De Filippi, i Salesiani, l’istituto Maria Ausiliatrice, la scuola Manfredini, l’istituto Sacro Monte, per restare nell’ambito degli enti d’ispirazione religiosa. La Fidae, la federazione che associa quasi tutte le scuole cattoliche, è in ansia per i tagli annunciati alla “dote scuola”, il contributo regionale erogato alle famiglie che faticano a sostenere il costo delle rette.
Che succederà nei prossimi anni? Sarà tagliato? “Il ruolo dello stato è di garantire che i servizi fondamentali al cittadino siano forniti secondo standard di qualità e nel rispetto dei principi costituzionali – osserva ancora Ferri –. Se la società si organizza dal basso e fornisce tali servizi al pari dello stato perché non considerarli una risorsa? Il Terzo settore coinvolge enti e associazioni che rispondono a bisogni sociali e fanno risparmiare lo Stato. Perché non favorirne lo sviluppo, anziché minarne l’esistenza con balzelli vari?”.
Paradigmatica è per Ferri la situazione delle scuole per l’infanzia. Svolgono un servizio per le famiglie e lasciare che chiudano quando poi lo stato non ha le risorse per costruirne di nuove è controproducente. Dappertutto in Italia, con la crisi economica che colpisce il ceto medio, le famiglie hanno tagliato il budget delle spese per l’istruzione e, di conseguenza, per le scuole paritarie. “Abbiamo famiglie che vorrebbero proseguire da noi ma non possono farlo perché il loro bilancio non lo consente – spiega il preside del Rosetum –. La paritaria non è una scuola per ricchi. Abbiamo molti genitori che investono negli studi dei figli rinunciando ad altri beni. Tanti liberi professionisti prima mandavano da noi anche più di un figlio e ora non se lo possono più permettere. Oggi, realtà che hanno alle spalle un ente religioso continuano a operare perché hanno una convinzione, non certo per il business”.
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