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Universitas

VICINI AL CUORE

SERGIO BALBI - 22/02/2013

L’assistenza ai malati negli affreschi dell’antico Ospedale di Santa Maria alla Scala, Siena

Andando a trovare mio padre ricoverato da qualche giorno a Niguarda, oltre al dolore privato di figlio, del quale non ritengo giusto fare parte chi legge (sarebbe verso lo sconosciuto più violenza che condivisione), vivo un traslato obbligatorio, dal quotidiano di medico a quello di persona che accede all’ambiente ospedaliero come utente della cura; questo porta con sé non considerazioni da sottoporre a fredda razionalizzazione e neanche il senso di rivelazione di una sofferenza che, da operatore sanitario, si impara a conoscere e a gestire ma non sempre a cogliere nella sua verità.

Il sentimento è diverso, si percepisce questo strappo con il suo senso proprio di punto di vista inconsueto, laterale, ma sempre personale (siamo noi che abbiamo cambiato il punto di vista, ma non abbiamo mutato la nostra sensibilità) e quindi è qualche cosa che arricchisce come novità ma costringe nel contempo a fare conti con la nostra individuale lettura del mondo.

Niguarda è un ospedale che si rinnova, con opere imponenti e d’avanguardia, ma non perde ancora del tutto alcune strutture da nosocomio d’altri tempi: ecco perché entrando nello “stanzone” a cinque letti del reparto, dai soffitti altissimi, un bagno solo, il visitatore è investito da un’aria antica, dove il dolore, la sofferenza e la corruzione dei corpi malati sono mostrati in tutta la loro realtà, senza decenza, senza quel decoro cui le moderne aziende ospedaliere ci hanno, per fortuna, abituati.

Ecco però che da questo sentimento iniziale la realtà comincia a prendere un aspetto diverso, forse miracoloso quando, guidata dai gesti e dalle parole dei parenti e dei pazienti compiuti con armonia involontaria in cui la premura dei primi, il loro affaccendarsi attorno ai letti dei congiunti, e le richieste, a volte delicate, a volte pressanti se guidate da un bisogno urgente dei secondi, compone quadri di intimità familiare ma al tempo stesso di rispetto e pudore per il dolore del vicino, distante solo un metro o due, che credevo perduti. Ma questa discrezione premurosa, non rimane comunque inviolabile, come a costituire un arcipelago di incomunicabilità, si interseca a volte con quella del prossimo, quando il dolore lo permette, con una parola, una breve frase di conforto, un richiamo al mondo esterno, un sorriso o un motto di spirito, un gesto di aiuto o partecipazione.

Sorprende verificare (è questo che voglio sottolineare) come la dignità, il decoro, l’attenzione verso il vicino non siano solo frutto dell’ordine o dell’adeguatezza di una struttura accogliente, ma risiedano primariamente nell’intimo delle nostre sensibilità e certe condizioni fanno in modo che ognuno riesca a scoprire dentro di sé questi talenti.

Il tono troppo lirico di quanto ho scritto e le considerazioni che faccio non portino a credere che auspichi il ritorno del sistema sanitario ai lazzaretti manzoniani, tuttavia mi pare giusto provare a trarre da ogni occasione qualche spunto per scorgere il bello che alberga dentro di noi. Osservando poi le mogli dei pazienti, queste piccole donne dai capelli bianchi, dal passo incerto ma dallo sguardo attento, dal gesto anche deciso, quando un bisogno del marito lo richieda, viene da pensare che dei loro uomini sappiano tutto, delle loro parole sappiano interpretare il sentimento profondo, il dolore o la fatica più inesprimibili.

La moderna medicina deve provare a restituire importanza alla ricchezza e al valore del colloquio con i parenti, soprattutto in ambienti molto difficili come le terapie intensive dove spesso sono proprio loro a cogliere i primi barlumi di un risveglio o di un accenno di miglioramento; a noi medici è lasciata allora la possibilità di reinterpretare o far quadrare i nostri numeri, i nostri parametri, alla luce di questi suggerimenti.

Chi studia per accedere a una professione sanitaria può solo intuire queste risorse (affidandosi alla propria umanità e intelligenza) preso com’è dal compito (sacrosanto) di digerire i tomi sui quali impegna le proprie giornate; la sensibilità dei singoli affinerà queste doti di ascolto nella pratica quotidiana, tuttavia da queste osservazioni siamo sempre più chiamati ad affiancare alla formazione scientifica dei giovani un percorso di consapevolezza del valore della relazione, che può essere almeno indicata, ma anche insegnata, come sempre più persone provano a fare in modo strutturato, per non lasciare soli in questo difficile compito umano, chi si accosta al paziente per la prima volta.

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