Ve l’immaginate mai il Pubblico Ministero di Cagliari che chiama al telefono quello di Roma, quello di Busto Arsizio che chiama quello di Siena, quello di Varese che chiama quello di Monza e all’unisono, sì proprio tutti nello stesso momento, decidono come se fossero un solo corpo inquirente, di chiedere ai rispettivi GIP di mandare in galera Massimo Cellino, il presidente del Calcio Cagliari, Angelo Rizzoli bancarottiere romano, Giuseppe Orsi presidente di Finmeccanica, Gian Luca Baldassarre e soci del Banco di Siena, di accusare il presidente Formigoni e la sua corte di “associazione a delinquere” (avete letto bene), di mettere le manette all’immobiliarista Alessandro Proto? Ma chi può credere a una macchinazione del genere se non è uno in malafede o ignora del tutto i meccanismi dell’azione giudiziaria?
Eppure nel Bel Paese, impantanato nello sterco sino al collo va così. “La magistratura entra a gamba tesa nella campagna elettorale”, “Azione giacobina”, “Magistratura ad orologeria” sono gli slogan che corrono nell’etere con qualche commento che, pur legittimo (ci mancherebbe altro), lascia di stucco. Formigoni, innocente o colpevole lo si vedrà, nel turbinio di denaro liquido girato alla “fidanzata”, ha commentato così: “Sono sereno, temevo di essere accusato di strage”.
Se dovessimo stabilire per le elezioni un periodo in cui non ci siano notizie di reati, inchieste in svolgimento, processi in corso, sentenze in arrivo manette incorporate, nel nostro Paese non si voterebbe più.
La realtà è molto diversa: la magistratura compie il proprio dovere. La corruzione è come un fiume in piena e va estirpata. Come, è difficile dirlo. Quale primo passo verrebbe da pensare con una legge più severa di quella emanata dal governo Monti che fa il solletico a personaggi di questa razza. La galera dovrebbe aprirsi davanti a loro come una voragine. Chi ha uno straccio di pezzo di potere, disseminato in mille rivoli dal sistema politico attuale, con la tecnica furbastra delle “partecipate” dove sono infilati portaborse e trombati elettorali e qualche spia di regime, fa sentire regolarmente la sua voce. Il marcio esiste, pesa, condiziona l’economia anche se qualcuno, al solito in vena di umorismo, racconta che “oliare le pratiche” non è dare mazzette-tangenti ma è mezzo consono per stare sul mercato.
Fa eco l’Associazione Nazionale Magistrati ricordando a questo signore (che nel frattempo ha rettificato) che pagar tangenti è compiere un reato penale. Semmai andrebbe sottolineato che in Italia non arrivano capitali stranieri perché è cosa nota la regola tangentizia e/o del pizzo.
La storia recente chiama in causa tre colossi dell’imprenditoria pubblica: Eni, Finmeccanica, Monte dei Paschi. Le loro amministrazioni sono sotto accusa. L’Italia fa una figura pessima. L’India, acquirente di elicotteri, pare sia intenzionata a vederci chiaro prima di versare il dovuto.
Il padrinato politico in circostanze simili è regolarmente in fuga. C’è chi prende le distanze dalle nomine dei capi oggi in galera ributtando sul Governo di cui facevano parte, la responsabilità dell’accaduto. Resta che la colpa politica è chiarissima. Deve essere frantumato l’intreccio politica-industria dove esiste e prospera. La soluzione è suggerita da maestri emeriti: i vertici delle grandi aziende non debbono essere indicati dalla lobbies dei partiti.
La magistratura lavora alacremente. Lo fa con i suoi tempi che non sono quelli della vita politica. Anche con i suoi limiti umani. Storia vecchissima, storia degli anni oscuri della Tangentopoli. Se poi l’ordine di cattura o il rinvio a giudizio cadono sotto elezioni non si può fare che registrarlo. La magistratura, se esiste un terreno su cui operare, si muove prima con il titolare dell’azione penale (il Pm), poi affida le carte al Giudice per le Indagini Preliminari che valuta il castello accusatorio e, se lo ritiene motivato, emette i suoi provvedimenti. Saranno i Tribunali a decidere. E poi le Corti di Appello e infine se del caso la Cassazione. Questa è la legge. Questa è la Costituzione. Questo è lo stato di diritto. Questa è l’Italia repubblicana. Il resto è pattume.
Avrei terminato qui se non fosse venuta in soccorso, e che soccorso, la statura giuridica del professor Donato Masciandaro, docente di Economia della Regolamentazione finanziaria alla Bocconi di Milano, riconosciuto maestro di etica, che ha provato a spiegare “questa Italia delle tangenti e dei derivati”, dicendo: “L’Italia è strutturalmente caratterizzata da una bassa qualità di politiche e istituzioni pubbliche: mercati poco concorrenziali, pubblica amministrazione poco efficiente, giustizia lenta. Se il sistema istituzionale è di bassa qualità, trova più spazio chi viola le norme. Il senso civico si abbassa. In più c’è la crisi economica e finanziaria che riduce le risorse disponibili che ha due volti: uno negativo e uno positivo. Il primo porta a violare la legge da parte di chi è più spregiudicato perché le risorse sono scarse. Può quindi aumentare il consenso verso politiche lassiste o autoassolutorie soprattutto in un Paese a basso senso civico. L’aspetto positivo è l’aumento dell’azione repressiva”.
A questo punto non ci possono più essere equivoci interpretativi. Sembra proprio di essere in Italia.
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