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Sport

DISCORSO SUL METODO (DELLE MARCATURE)

ETTORE PAGANI - 15/02/2013

Giusto il tempo di prendere atto di qualche perplessità su certe visioni calcistiche di molti allenatori italiani, pur nella loro innegabile capacità, per avere la conferma, da parte di alcuni loro colleghi stranieri, della diversa interpretazione da questi ultimi data a certe situazioni. Si vuol alludere in pratica a certe libertà di movimento concesse a giocatori assolutamente determinanti nella impostazione di gioco di una squadra, nonché sui risultati, senza ritenere necessaria l’applicazione di una rigorosa marcatura che – quanto meno – possa valere a ridurne il rendimento.

In Italia questi uomini squadra-risultato hanno possibilità di evidenziare le loro capacità fino in fondo. Il che – certamente sotto il profilo della qualità di gioco e della sportività è positivo. Quanto, però, a ridurre il potenziale dell’avversario di positivo non ha proprio nulla. Per un esempio tipico basterebbe pensare al Pirlo rosso-nero lasciato “nei secoli” libero di impostare tutto il gioco della squadra milanista certamente senza adeguate contromisure individuali per ridurne l’apporto.

I tecnici stranieri sono arrivati prima dei nostri e, da qualche tempo a questa parte, il Pirlo in azzurro viene, puntualmente, sottoposto a sorveglianza speciale. Ed è quanto è accaduto nell’amichevole con l’Olanda con pressione tale sul nostro regista da costringere Prandelli a sostituirlo nella ripresa vedendosi, peraltro, costretto a modificare la manovra della nostra nazionale.

Il trattamento riservato al giocatore nelle partite disputate in maglia azzurra solo di riflesso si è parzialmente esteso al nostro campionato e a farne le spese può cominciare, ora, anche la Juve. Resta da capire perché spesso in Italia si sia propensi a lasciare spazio ad elementi il cui valore è determinante nella squadra avversaria.

Si è detto di Pirlo ma il discorso potrebbe essere esteso ad altri che, pure in ruoli diversi, incidono in maniera assoluta sul rendimento di una squadra. Da Cavani a Di Natale o El Shaarawy. Ovvio che la soluzione del problema non sempre sia di sicura riuscita ma almeno il tentativo sarebbe necessario.

La cosa ha difficoltà a trovare ragione se non nella scarsa propensione dei tecnici a modificare (lasciando posto a qualche marcatura individuale) i propri schemi. Il che ci sembra possa essere catalogato come fuori da ogni logica calcistica. Tale illogicità non trovò, certo, mai tra i propri seguaci, Busini ex direttore tecnico del Milan passato, nell’era borghiana, a ricoprire, ora in bianco-rosso, lo stesso incarico in compagnia di Ettore Puricelli quest’ultimo quale allenatore.

Capitava, infatti, che, sotto la direzione di Busini ad ogni occasione di una visita del Milan a Masnago il ct bianco-rosso piazzasse su Rivera, senza dubbio il più pericoloso degli avversari, un uomo impartendogli un ordine ben preciso: quello di non lasciare giocare il diretto interessato disinteressandosi totalmente, del resto dell’incontro. E Rivera marcato, solitamente, da Ambrogio Borghi, orami diventato per destinazione sorvegliatore speciale del rossonero, il cui rendimento, sotto il trattamento se del caso anche deciso dell’avversario, fu quasi sempre mediocre.

Del resto il milanista – molto valido quanto a tecnica e a parola – notoriamente non fu mai un cuor di leone vedendosi costretto a porre termine alla sua inferiorità, soprattutto fisica, rispetto al diretto avversario, piantandogli un vergognoso calcione ad una caviglia che procurò a Borghi una netta frattura. Solo così finirono gli effetti di una marcatura ad uomo.

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