Benedetto XVI come Celestino V? Vale forse la pena ripercorrere i passi della storia lungo i luoghi in cui Pietro da Morrone visse. La Maiella, monte simbolo dell’Abruzzo e terra di devozione religiosa, di miracoli, apparizioni e suggestive processioni notturne al lume delle torce, vide svilupparsi in passato il fenomeno dell’eremitismo e offre un affascinante tour dei romitaggi al fedele in cerca di emozioni spirituali. Sono i luoghi del silenzio, isolati siti di meditazione e di preghiera che si trovano nei punti più spettacolari della montagna dove la natura è quasi impenetrabile, selvaggio ambiente naturale ricco d’anfratti e di grotte. Gli eremi abruzzesi sono legati alla figura di Pietro da Morrone, al secolo Pietro Angeleri, l’anacoreta divenuto papa Celestino V a cui, senza citarlo, si riferisce Dante nell’Inferno (III, 59-60): “Fece per viltade il gran rifiuto” rinunciando alla tiara perché si sentiva inadeguato. Gli subentrò l’ambizioso Bonifacio VIII che lo tenne prigioniero fino alla morte.
Nato a Sant’Angelo Limonano (Isernia) nel 1215, figlio di contadini e penultimo di dodici figli, fra Pietro fu ordinato sacerdote a Roma e si ritirò eremita sul massiccio del monte Morrone che domina Sulmona e sulla vicina Maiella, dove fondò la chiesa di Santo Spirito che divenne la sede generale dell’Ordine dei Celestini. Conosciuto come uomo virtuoso e integerrimo, fu strappato alla vita ascetica nella grotta, eletto papa dal collegio cardinalizio il 5 luglio 1294 e il 29 agosto consacrato nella basilica di Collemaggio all’Aquila con il nome di Celestino V. Ma il potere e i maneggi della vita di corte non facevano per lui e dietro i consigli interessati del cardinale Benedetto Caetani, esperto canonista, presto abdicò. Proprio Caetani prese il suo posto in quello stesso anno con il nome di Bonifacio VIII e lo rinchiuse nella rocca di Fumone dove Celestino morì il 19 maggio 1296 (santificato diciassette anni dopo, nel 1313 da papa Clemente V).
La figura di Pietro da Morrone rivive oggi, come si diceva, in una cinquantina di eremi, a cominciare da quello della Madonna dell’Altare a strapiombo sulla valle del monte Porrara, dove Pietro soggiornò tre anni in solitudine e povertà. Sul versante di Roccamorice ci sono invece l’eremo di San Bartolomeo in Legio interamente scolpito nella roccia in uno scenario che ricorda i canyon texani che l’anacoreta abbandonò per cercare un rifugio più isolato quando la fama di “santità” incominciava ad attrarre troppi curiosi e aspiranti discepoli. Il luogo, fatto ricostruire dopo il 1250, è tradizionalmente venerato dai pellegrini il 25 agosto, quando una processione trasporta la statua del santo dall’eremo in paese. La tradizione lega la grotta a leggende di acque miracolose e benefiche che guariscono le malattie e i fedeli esprimono i loro voti salendo in ginocchio e in preghiera i ruvidi gradini della scala di pietra.
Suggestiva è la strada che conduce all’eremo di Santo Spirito, dove le falesie alte e nude annunciano la sacralità del luogo. Piccole celle eremitiche si estendono lungo la parete della valle e paiono sorreggere il santuario. Il percorso evoca umili esistenze, vissute all’insegna delle rinunce e della penitenza.
Come andò a finire invece per Bonifacio VIII? Benedetto Caetani, nato ad Anagni, nel Frusinate, salì al soglio di Pietro la vigilia di Natale del 1294, regnò nove anni e proclamò l’Anno Santo il 22 febbraio 1300 con la bolla Antiquorum Habet Fidem, promettendo l’indulgenza plenaria a chi visitava le basiliche degli apostoli Pietro e Paolo. Riportò la Curia da Napoli a Roma e vietò al clero di versare tasse o sovvenzioni a qualsiasi autorità laica, di qui nacque il contrasto con Filippo Il Bello di Francia. Accusato di avere usurpato il trono di San Pietro, fu pubblicamente schiaffeggiato nel palazzo ad Anagni da Sciarra Colonna (o da Guglielmo di Nogaret, inviato del re francese Filippo Il Bello, la storia non chiarisce). Vecchio e provato, morì di crepacuore l’11 ottobre 1303, poco più di un mese dopo lo “schiaffo di Anagni”.
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