Chi sono i maestri? Qual è il loro senso nel nostro mondo? Ce ne sono ancora? Credo che i maestri siano persone che sanno raccontare la loro esperienza, in un’unità di vita che sia concreta, un valore forse oggi dimenticato; raccontare un’esperienza con parole piane, semplici che tutti possano utilizzare.
Non ricordo persone che meritino di essere definite maestri di cui non abbia capito qualche parola; al di là di ogni prolusione che li introduca, dotta, ben documentata, si mostrano quali essi sono in un’umanità piena e vissuta. I maestri quindi sono nascosti, perché non usano palchi d’onore per parlare, la loro ribalta si fonda sull’ascolto dei singoli, in un rapporto personale con chi ascolta che si estende gradualmente con meccanismi prossimi al più semplice passaparola.
Ecco allora che affiora un valore, uno stimolo per tutti noi: i maestri vanno cercati, vanno identificati come coloro che possono aiutarci a dare una risposta alle nostre domande. Sono persone che obbligano ognuno di noi a trovare le domande prima delle risposte, con un lavoro interiore che può solo chiamarsi conoscenza del proprio esistere. Una sintesi della loro esperienza può diventare sistema, può costituirsi in un progetto filosofico, in un programma sociale, politico, ma parte sempre dal racconto del loro mondo. Quando poi questi progetti sono gestiti e garantiti da un gruppo di persone, da un’organizzazione che ne tragga stimoli per il bene comune, da un partito potremmo dire, diventano ideologie. L’ideologia come garanzia di una tradizione a supporto del loro effettivo valore, come certezza di una amministrazione nel presente delle sue ricadute nel tessuto organizzativo della società, dopo aver distribuito a specialisti le competenze applicative necessarie, e come speranza per la sopravvivenza futura del progetto oltre le vite dei proponenti.
Credo sia inutile dilungarsi sugli accenti negativi che la parola ideologia ha assunto nel corso del secolo scorso, degradando il suo valore di tutela partecipata del significato di un’idea, fino alla mera difesa dell’apparato garante con mezzi coercitivi sul consenso, oppure adagiando la spinta che l’ha generata, sulla piatta e comoda, impersonale ripetizione di slogan e frasi fatte da gridare ai quattro venti, purché si sia in tanti, per temperare il volume della propria voce e il peso della propria responsabilità.
In questo clima, dove i progetti mancano di una tradizione o a questa si richiamano in modo superficiale, dove ci viene negata la possibilità di una prospettiva lungimirante, di lungo termine, nell’assuefazione a provvedimenti di urgenza, decreti, soluzioni a breve termine, siamo chiamati a fidarci solamente delle persone, dei singoli, e questo mi pare impresa difficilissima, affidata solo al nostro criterio, alla capacità di esercitare un po’ di discernimento.
I maestri esistono, dobbiamo cercarli, ma le parole che si usano sono complicate, urlate, smontate e ricomposte per trasformarle in armi da restituire all’avversario, e il nostro compito è ogni giorno più complesso. Il maestro è ancora riconosciuto dagli allievi di un artigiano, o dai discepoli di un filosofo, di un pensatore, ma non se ne sente più parlare sui giornali, alla televisione. Artigianato e filosofia sono due modi non così lontani tra loro per comunicare agli altri lo stesso approccio unitario alla vita: la trasformazione della propria persona, nel suo cammino, dopo un contatto profondo con l’esperienza, che viene accolta, vissuta e restituita all’ambiente che ci circonda.
Solo i veri maestri sanno restituirci l’esperienza in questo modo, con le nostre parole, comprensibili quindi, ma con quello scarto minimo nell’uso che ne fanno sufficiente a mettere in ordine la sconfortante arena delle nostre giornate.
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