Tutto quanto è ordine, precisione, razionalità mi vede sempre impelagato in una incredibile, inaccettabile inadeguatezza. Per esempio negli anni non mi sono fatto un archivio decente, strumento utilissimo per qualsiasi giornalista. A farmi mancare questo obiettivo ha contribuito un altro mio difettuccio, la pigrizia. Il fatto di avere per tanti anni a La Prealpina un direttore come Mario Lodi – il massimo anche della precisione e dell’efficienza organizzativa – mi aveva indotto a evitare la fatica di un archivio personale. Ecco perché oggi di tracce e di documenti della mia attività di cronista ne ho pochissimi, mi sono invece “sprecato” con qualche foto in più, tutte dedicate a momenti sereni.
È stato il ritrovamento occasionale tra le pagine di un libro, quindi non nel microspazio dedicato all’archivio, di una foto “misteriosa” a indurmi a confessare la mia idiosincrasia per la documentazione in genere. La foto non ha riferimento alcuno a luogo, data e motivo per il quale è stata scattata. Insomma una archiviazione alla Vedani. Quattro i soggetti che appaiono: in primo piano oltre al sottoscritto due personaggi del tempo, due galantuomini della politica e della gestione della cosa pubblica, due socialisti: Sergio Marvelli e Salvatore Caminiti. Il primo fu presidente in Regione, il secondo assessore alla cultura a Palazzo Estense. È il quarto personaggio che mi ha indotto a definire “misteriosa” la foto: in secondo piano, non interessato né all’obbiettivo del fotografo né quindi al colloquio tra il giornalista e i politici, con una espressione se non di noia almeno di indifferenza. È Piero Chiara in un isolamento totale dall’avvenimento in corso.
Il grande scrittore non amava la politica, lo si poteva trovare a volte in centro nella sede del Partito Liberale, la meno frequentata in Italia, a Varese, non tutti i giorni, da due-tre persone, Chiara e Mauro Raffo compresi. Il PLI un rifugio, anche per scrivere.
Le sue apparizioni pubbliche avevano un preciso riferimento nello Zamberletti di corso Matteotti; erano frequenti, in genere i clienti rispettavano la privacy dello scrittore mentre amici e conoscenti avevano cordiale udienza. Proprio non ricordo che ci facesse Piero Chiara nel luogo in cui lo immortalò il fotografo come apparizione e testimonianza, a volte silenziose, in qualche suo film. Una spiegazione logica potrebbe far risalire la sua presenza a una manifestazione culturale tenuto conto che Caminiti fu un vulcano di iniziative e di lavoro a favore della città, ma un evento del genere non avrebbe visto in disparte Piero, anzi egli ne sarebbe stato un richiamo.
Non ne faccio un problema di questa foto, sono comunque contento di averla trovata perché mi ha riportato a tempi in cui senza tema di smentite tutti avevamo certamente problemi, ma si era ben più sereni. E la presenza di Chiara, pur con le sue valutazioni al cianuro su Varese, per la città era di stimolo e conforto, al pari dei politici galantuomini.
Ce ne sono ancora oggi, ma li vediamo ingabbiati in un sistema spesso spersonalizzante e demoralizzante, vittime essi pure di una partitocrazia che domina tutto e tutti. E che alla fine combina ben poco se dopo trent’anni vediamo irrisolti problemi che già allora infiammavano la città.
Forse l’atteggiamento lontano, distaccato, di Chiara nella foto è profetico: nessuno meglio degli uomini di cultura sa leggere il futuro. Il piatto allora piangeva, ma c’erano grandi speranze e fermenti. Oggi il piatto piange, Piero non c’è più. Ed è meglio lasciar stare gli archivi altrimenti scappa la voglia di lottare per la nostra Varese.
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