Il commissario dell’Unione Europea per gli affari economici, Olli Rehn, è un politico liberale finlandese, abituato a misurare le parole e prudente nel pronunciare giudizi. Eppure, prendendo la parola il 29 gennaio scorso, davanti al Parlamento europeo non ha esitato a citare il “caso italiano” per dissuadere i Paesi che invocano un approccio fiscale più flessibile per aiutare la crescita, mettendoli in guardia contro le facili scorciatoie.
“Pensate all’Italia – ha detto – che aveva fatto alcune premesse per il consolidamento fiscale in modo da facilitare l’intervento della Banca Europea con il suo programma di acquisti di titoli (italiani) e per un breve momento la situazione è migliorata, ma (nell’autunno del 2011) il governo Berlusconi ha deciso di non rispettare più gli impegni. Il risultato è stato il prosciugarsi dei finanziamenti che ha soffocato la crescita dell’economia. Solo con il governo Monti il Paese è riuscito a riconquistare la fiducia dei mercati e i famigerati spread sono scesi”.
Le parole di Olli Rehn sono state interpretate, non a torto, come una interferenza nella campagna elettorale in corso ma l’ingerenza del Commissario, come ha ricordato l’ex ministro degli esteri Frattini, corrisponde esattamente a ciò che dell’Italia si pensa a Bruxelles e, pertanto, faremmo male a non tenerne conto come un avvertimento, urtante ma necessario, per il nostro futuro.
La rabbia e la delusione dell’Europa nei confronti dell’Italia sono reali ma non bisogna commettere l’errore di pensare che si tratti di disistima. Il Belpaese è uno dei soci fondatori della Comunità ed è sempre stato tenuto nella migliore considerazione; tuttavia, l’Unione Europea ha le sue regole e i suoi riti precisi: accetta le critiche ma non vuole che i patti vengano stracciati, gli accordi violati e i vincoli disattesi; ciò che noi consideriamo come dei pesi e dei controlli, per gli altri Paesi sono delle opportunità. In ambito europeo prevale la convinzione di un destino comune, se crolla la moneta unitaria è l’intera costruzione europea che viene meno e con essa quello che è tuttora il primo mercato mondiale di cui l’Italia è la terza potenza industriale.
Nei confronti di Berlusconi emerge un sentimento di delusione; a lui e alla Lega si imputa il progressivo distacco dell’Italia e la perdita della sua centralità. L’Europa si è sentita come un amico tradito e non riesce a capire il perché di questa situazione; per Merkel (e per Obama) è semplicemente incredibile l’idea che Berlusconi abbia fatto cadere il governo Monti che era riuscito, quasi miracolosamente, a riportare in ordine i conti pubblici del nostro Paese. In particolare il Partito Popolare Europeo, non immemore della sua originaria ispirazione cristiana, è a dir poco imbarazzato per le sortite populiste, non si fida dell’ europeismo ambiguo e guarda con malcelata sopportazione allo stile di vita del nostro leader.
Il timore che lo sbocco elettorale possa portare alla emarginazione di Monti appare preoccupante all’Europa che lo considera come l’unico, vero statista italiano e auspica la continuazione della sua esperienza di governo.
Anche se l’Unione Europea va considerata una comunità di popoli e non una alleanza tra Stati, l’interferenza dei suoi esponenti nella politica italiana può causare un comprensibile fastidio, ma prima di recriminare occorre anche riflettere: quel che ha detto il Commissario Europeo è nient’altro che la verità e le sue parole sono un avvertimento per il nostro futuro, quale che sia il governo che uscirà dalle urne.
Le recenti proposte elettorali di Berlusconi (abolizione dell’IMU e restituzione di quella pagata nel 2012, soppressione dell’IRAP e diminuzione dell’IRPEF e, tanto per cambiare, un ennesimo condono fiscale) hanno inoltre sollevato vivissime preoccupazioni da parte dei mercati finanziari (con il conseguente aumento dello “spread”) che temono un ritorno alla “finanza allegra” del passato. Giornali autorevoli come l’inglese “Financial Time” e l’americano “ Wall Street Journal” si chiedono come una parte degli italiani possa dar credito alle mirabolanti promesse che non hanno nessuna possibilità di essere attuate da parte di un Paese che ha un debito di oltre duemila miliardi di euro; temono che un successo della “destra” possa mettere un’ipoteca sulla stabilità del governo che scaturirà dalle prossime elezioni.
Anche l’ex ministro Tremonti ha messo in dubbio che la restituzione dell’IMU trovi la necessaria copertura, mentre il presidente dell’ANCI, l’associazione dei comuni italiani afferma che “in tutta l’Europa l’imposta sulla casa serve per i servizi dei cittadini; si può alleggerire e graduare diversamente, ma la sua abolizione può provocare una catastrofe”.
Il Presidente della Corte dei Conti da diverso tempo va ripetendo che i condoni provocano una sfrenata evasione fiscale perché “i cittadini sanno che è inutile pagare le tasse dovute perché prima o poi qualche politico proporrà una sanatoria che permetterà di cavarsela con poco”.
È strabiliante che dopo vent’anni di “berlusconismo”, di promesse non mantenute, di scuse improbabili (i complotti e i tradimenti, i presunti vincoli posti dalla Costituzione, la persecuzione delle “toghe rosse”) una parte non secondaria degli italiani continui a credere in simili “panzane” e non vede il rischio reale di un Paese senza guida, che è vicino al collasso e che ha perso il senso dello Stato e di un destino comune.
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