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Cultura

LE IDENTITÀ DI SAN GIUSEPPE

SERGIO REDAELLI - 01/02/2013

San Giuseppe nell’affresco di Guttuso al Sacro Monte

Quante identità di Giuseppe nelle rappresentazioni della Fuga in Egitto nel corso dei secoli! Ora giovane, energico, coraggioso e persino armato, ora un vecchio incanutito. Nella Cappella Palatina di Palermo, che per Guy de Maupassant è la più bella chiesa al mondo, è anziano e senza aureola. Così a Costantinopoli, ad Alatri e nella chiesa di Sant’Abbondio a Como dove la vecchiaia sottolinea la differenza di età e la maternità virginale della Madonna. E quale varietà di simboli. Draghi che si prostrano al passaggio della Sacra Famiglia nel duomo di Orvieto, lupi e leoni adoranti davanti a Gesù nel duomo di Cremona, ambientazioni invernali nei villaggi olandesi e fra le dune del deserto in Palestina, scenari notturni illuminati dalle torce e itinerari urbani tra i palazzi.

Sono le tante interpretazioni che sono state date, in mille anni, della Fuga in Egitto. Il soggetto scaturito da un passo di Matteo (“Egli si alzò nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto”) ha ispirato legioni di pittori, scultori e incisori dai grandi nomi, Dürer e i due Brueghel, Beato Angelico e Tintoretto, Nuvolone, Guttuso e tanti altri. I Vangeli apocrifi hanno poi fornito altri spunti episodici e fantasiosi, miracoli e colpi di scena, palme che si piegano per fare cogliere i loro frutti alla Madonna e corsi d’acqua che gorgogliano nel deserto offrendo pesci guizzanti agli stanchi viaggiatori. Ne ha parlato Laura Marazzi all’attenta platea del museo Baroffio partendo dall’opera a noi più nota, la Fuga in Egitto di Renato Guttuso alla Terza Cappella del Sacro Monte di Varese.

“L’artista di Bagheria la dipinse nel 1983 rompendo con la tradizione iconografica consolidata – ha spiegato la conservatrice del museo –, Giuseppe ha l’aspetto e la tunica a colori sgargianti di un palestinese, le braccia da manovale, i ferri del mestiere appesi all’asino che trasporta sul dorso l’intera famiglia. Del tema sacro, Guttuso dà un’interpretazione militante e dal forte significato sociale. Parla dell’esodo di chi fugge da persecuzioni, oppressioni e guerre e la colomba che s’alza in volo è un augurio di pace”. Prima che Guttuso, chiamato da monsignor Macchi, la coprisse con la sua lettura politica, ecco la bucolica Fuga in Egitto del Nuvolone e di Francesco Villa, dipinta nel 1654 e rifatta dal Poloni quando già il dipinto versava in condizioni di grave deterioramento.

Strappa gli applausi il dotto excursus che la Marazzi traccia del soggetto evangelico nel corso dei secoli, dal medioevo a oggi. Una prima rappresentazione d’epoca carolingia si trova nel monastero di San Giovanni a Mustair, in Svizzera, con Giuseppe che tiene le redini dell’asino su cui viaggiano la madre e il bambino in un paesaggio urbano. Del XII secolo è la Madonna regale, a dorso d’asino, nel chiostro di Sant’Orso ad Aosta, mentre la Sacra Famiglia di Gislebertus (1125-1145) nel museo di Saint Lazare ad Autun sembra viaggiare su un carro con le ruote. Secondo il profeta Zaccaria, l’asino non è quello della tradizione della Natività. Simboleggia chi viene in pace come Cristo a Gerusalemme ed esprime i valori dell’umiltà, della pazienza e della perseveranza.

L’angelo indica la strada all’asinello in Gaudenzio Ferrari a Santa Maria delle Grazie di Varallo e, nel 1393, Broederlam raffigura Giuseppe come un ubriacone e la caduta degli idoli pagani al passaggio di Gesù seguendo il racconto dei Vangeli apocrifi.

Nella Cappella degli Scrovegni a Padova, Giotto immagina la Sacra Famiglia in viaggio con un seguito di tre uomini e una donna e l’angelo in cielo è fatto d’aria. Tintoretto nella scuola di San Rocco a Venezia (1582-1587) ambienta liricamente la scena sotto un cielo spettacolare. Ed eccoci a Santa Maria del Monte. Il Paesaggio invernale con fuga in Egitto fa parte del corpus delle opere fiamminghe e olandesi che nel 1929 il barone Giuseppe Baroffio Dall’Aglio donò al Santuario ed è ora esposto nella terza sala.

“L’opera – spiega ancora Laura Marazzi – è attribuita a Herri Met de Bles (1510-1550), detto il Civetta, molto apprezzato nell’Italia del XVI secolo, che firma con piccoli rapaci. La neve è scesa su case e campi. Uomini trascinano le slitte, donne trasportano pesi sulla testa, un mulino a vento muove le pale e, in fondo, la veduta di una città nordica, forse Anversa, con la cattedrale gotica che si staglia nell’alba invernale. In basso a sinistra Giuseppe con mantello e coltello alla cintura, bastone appoggiato sulla spalla, conduce l’asino con Maria e il Bambino, di cui si vede solo il puntino rosa del viso. La Sacra Famiglia, presenza discreta e apparentemente secondaria, imbocca il percorso che porta alla salvezza contrapposto alla decadenza, alla comoda via, alla vacuità dei traffici mondani ed è un invito al cristiano perché si ponga sul sentiero della vita, malgrado i pericoli e la fatica, con la pazienza e l’umiltà della Sacra Famiglia”.

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