Tramonti infuocati o albe dorate ai Caraibi? Orizzonti infiniti negli altipiani nepalesi? Montagne che cambiano colore ad ogni istante con il variare della luce come il monolito di Alice Rock nel deserto australiano? Emozioni uniche e forti, certo da provare per chi vuole e può permetterselo!
Ma anche qui a Varese, a chilometro zero e senza spendere un euro, possiamo permetterci questi spettacoli, specie in inverni come questo caratterizzato da alta pressione, temperature miti e cieli sereni. Il sentiero 1 del Parco regionale del Campo dei Fiori che collega la Punta Paradiso alla località detta del Forte d’Orino offre sicuramente uno dei panorami più belli ed incredibili d’Italia.
Il cammino – circa nove chilometri tra andata e ritorno – si snoda in piano, lungo un carreggiata facile e sicura tra boschi di faggi, frassini, aceri di monte e abeti rossi.
Lo sguardo è libero di correre sulla sottostante pianura padana, con squarci su Varese e il suo lago che dall’alto si stenta a credere così inquinato; e in lontananza brillano, con la luce incidente del mattino o del pomeriggio, gli altri laghi prealpini. Si può fare a gara per indicare là sotto le sagome note degli edifici, dei campanili, delle arterie a forte scorrimento, delle torri e degli impianti sportivi che ci sembrano da questa visuale piccini piccini, inanimati e senza vita, ma che invece sappiamo essere un pulsare frenetico di vite e di storie vissute.
Da questo alto punto d’ osservazione – indubbiamente “il più bel balcone di Lombardia “ – si ha la chiara percezione dell’immensità della pianura padana, una conca delimitata da montagne altissime ed innevate, costellata, in molte parti, da una continuità senza fine di agglomerati urbani,che trovano la loro apoteosi nello skyline di Milano con i suoi nuovi grattacieli; ma non solo cemento, anche boschi, giardini,colline e fiumi. All’imbrunire si distinguono chiaramente le luci gialle di Malpensa con il suo via vai di piccoli punti luminosi; aerei che arrivano e che partono, carichi di vacanzieri alla ricerca spasmodica di luoghi lontani e di panorami diversi per appagare l’occhio, non sapendo che forse uno spettacolo altrettanto bello lo potrebbero avere qui sulla nostra montagna, a due passi e lo ignorano!
Negli anni il panorama che si gode lungo il sentiero 1 si è andato modificando complice un insetto coleottero dal nome curioso, Ips typographus, detto comunemente bostrico, che ha fatto strage delle pinete di abete rosso che dominavano tutta la cresta del massiccio del Campo dei Fiori. Sono bastati pochi anni per fiaccare ed eliminare le sempreverdi dalla sommità della nostra montagna. Il caldo e la siccità dell’estate 2003 stimolarono infatti le gonadi del bostrico che per secoli se ne era stato buono buono, in equilibrio con l’ ambiente, portando qua e là saltuariamente a morte solo qualche pianta; nel contempo l’afa indebolì la vitalità degli abeti, detti volgarmente, e ci sarà un perché, abeti di Norvegia. Alta aggressività di un insetto e bassa vitalità di una specie vegetale: una coincidenza esplosiva che ha fatto sfracelli naturali portando a morte in poco tempo gran parte dei nostri poveri abeti rossi. Insomma un disastro che ha meritato anche l’emanazione di un Decreto di lotta obbligatoria al parassita da parte della Regione Lombardia; in poche parole le piante morte, debilitate e con sintomi accertati della presenza di bostrico, debbono essere immediatamente rimosse e il legname bruciato. Questo con l’ evidente scopo di limitare e contenere il contagio. Ma le pandemie naturali sono più forti di qualsiasi legge umana e così nei nostri parchi, nei nostri boschi e sulla nostra montagna gli abeti se ne sono andati uno dietro l’ altro; e quando non ci ha pensato il parassita, ci ha pensato l’ ansia dell’ uomo che, nel timore di limitare l’ infestazione, ha fatto piazza pulita preventiva anche dei sani. C’è chi oggi – sbagliando a mio avviso – plaude alla perdita delle nostre ombrose pinete sommitali; “belle sì, ma non autoctone!” “Perché dunque non ritornare alla fine dell’ottocento con la cresta del nostro monte ricoperta di prati magri, frassini, faggi e aceri monte?” affermano e scrivono i sostenitori della bosinità botanica dei nostri monti e dei nostri boschi.
In alcune ripide zone si sta tentando di rimboschire con la messa a dimora di striminzite piantine di faggio o di frassino. Ma che futuro potranno avere questi esili bacchette, mal piantate, rachitiche,messe di fretta e furia a dimora in un ambiente ostico e difficile? Facile prevedere che soccomberanno ai rovi e alle infestanti, all’ insolazione, alle intemperie e all’incuria umana.
Intanto il panorama per chi percorre la carreggiata si è drammaticamente modificato con aperture – quasi voragini – che mettono a nudo la montagna.
Ma la vista che si è aperta con gli abbattimenti è ancora talmente sublime che a pochi sembra interessare quale destino botanico dare alla cresta del Campo dei Fiori. Dal sentiero si continua sempre ad abbracciare l’infinito che sembra tingersi ancor più di rosso e d’ arancio sul terreno messo a nudo. E di fronte a tale spettacolo tutti continuano a rallentare e come d’ incanto ritorna alla mente quell’esercizio dimenticato di mnemotecnica che tutte le maestre delle elementari ci insegnavano per facilitarci l’arduo compito di ricordare la partizione delle Alpi: Ma_ Con_ Gran_ Pena_ Le_ Reti _ Cala_ Giu’. E sì, perché dal sentiero del Forte d’ Orino si abbracciano tutte le Alpi: Marittime – Cozie – Graie, Pennine…
In quale altro posto del mondo sarebbe possibile starsene lì incantati di fronte alla Natura ripetendo uno sciogli lingua dimenticato in qualche angolo della fanciullezza e che ritorna come d’incanto alla mente? Godiamoci lo spettacolo, dunque, ma per favore iniziamo a pensare anche a quale futuro.
nelle foto: sulla strada per il Forte d’Orino, 1° febbraio 2013 (foto di Alberto Pedroli)
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