Abbiamo trascorso la prima domenica ecologica. Gli organi di informazione varesini hanno magnificato le iniziative culturali che sono state approntate da parte del Comune di Varese. Non credo proprio che sia stato compreso lo spirito dell’iniziativa comunale e la gravità dell’inquinamento fuori dei limiti di legge che ogni anno, di questo periodo, invade Varese anche per più giorni continuativi.
Mi sono recato a pranzo dai miei suoceri. Ebbene, le code infinite di automobili che ho trovato sia all’andata che al ritorno (e quindi l’inquinamento atmosferico provocato) sono state l’ulteriore prova dell’inutilità di iniziative che siano approntate solo su base ristretta di città e non supportate da campagne di informazione massicce nelle scuole e nelle imprese.
A proposito della smart city e della commissione sulla mobilità d’area (di enti pubblici e privati) e del piano spostamenti casa-lavoro dell’ospedale di Varese, argomenti tutti, di cui avevo scritto due volte in passato, segnalo il Decreto di Sviluppo 2012 (Decreto legge 22.06.2012 n° 83 , G.U. 26.06.2012, convertito con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n.. 134) che prevede la possibilità, all’interno dell’attuazione dell’Agenda digitale, di stipulare partenariati pubblico privato di tipo pre-commerciale al fine di individuare idee innovative per lo sviluppo anche locale che sappiano mettere insieme più enti pubblici ed enti privati.
Pur con alcune caratteristiche diverse, tali partenariati, o perlomeno il loro principio istitutore, sono ben descritti in alcune esperienze che le città hanno realizzato recentemente aggregando volontà pubbliche e private per la valorizzazione del bene comune e per la competitività del territorio. Le partnership pubblico-privato (PPP) sono in tal senso una delle principali leve per la realizzazione di smart cities.
Ma cosa sono queste PPP? Sono gli strumenti che fanno da “ponte”, che collegano (e non dividono), attivano (e non inibiscono), trasformano (e non eliminano), valorizzano (e non deprezzano), guidano energie e non difendono poteri. Attraverso partnership di pubblico-privato ispirate a fiducia, collaborazione, impegno e nuove metriche, si possono superare le profonde divisioni tra gli attori economici e limitare, per quanto possibile, il “narcisismo politico” e la burocrazia che rendono tanto difficile la collaborazione, l’innovazione e la trasformazione del nostro paese.
Le partnership di pubblico-privato sono sistemi che hanno la capacità di rafforzare la fiducia tra i diversi attori perché si basano sulla collaborazione, sulla costruzione di una comune metrica e di un comune obiettivo da raggiungere. Questi strumenti nascono come sistemi normativi, ma sono efficaci solo se supportati da strumenti aggreganti digitali (sia per la partecipazione che per la trasparenza) e da adeguati sistemi di gestione e di accountability (per assicurare le modalità tecniche di realizzazione e rendicontare gli esiti).
La fiducia, la cultura del fare assieme e della collaborazione accompagnate da sistemi gestionali, protocolli, sistemi di indicatori (per facilitare le decisioni e le verifiche, con dati ed evidenze, qualitative e quantitative), aiutano a fare bene le cose. Devono tuttavia non essere concepiti come procedure burocratiche, ma come elementi di inquadramento di natura strategico-valoriale. Devono essere pensati per dare un senso complessivo dell’azione e supportarne la realizzazione.
Si chiamano partnership pubblico privato, di fatto, una collaborazione volontaria tra pubblico e privato per migliorare la vita della comunità. Secondo il Copenhagen Centre vi sono sei principi essenziali per la riuscita di una buona partnership pubblico-privato:
- i partner convergono per raggiungere benefici sociali attraverso l’azione congiunta;
- la ricerca di nuovi approcci e soluzioni innovative ai problemi;
- l’approccio multisettoriale, che implica la partecipazione di almeno due attori provenienti da ambiti settoriali differenti;
- la partecipazione volontaria dei membri;
- la condivisione dei costi e dei benefici dell’azione;
- la ricerca di una soluzione sinergica, in cui il risultato finale sia superiore alla somma dei differenti apporti di ciascuno.
Non coincidono perfettamente con gli accordi di programma – che sono più normativi e non prevedono né un processo codificato né una metrica definita ex ante e da verificare ex post – ma ne rappresentano una forma più articolata. La differenza principale è che la PPP è un processo collaborativo, dove la pubblica amministrazione crea condizioni di condivisione e di collaborazione, ma è l’impresa che realizza e persegue obiettivi (anche economici). È un processo volontario, di natura strategica e non normativa. Si basa su diversi livelli: valoriale, politico, tecnico, amministrativo.
Ritorno così a quanto scritto l’11 gennaio. Il prefetto non mi ha contattato come se non fosse un’emergenza sociale l’inquinamento da PM e le correlate malattie anche gravi. Occorre una volta in più che i varesini contestino gli inadeguati provvedimenti contro l’inquinamento senza lasciare che siano sempre i pochi soliti noti a protestare. Occorre che venga promossa un’innovativa “azione popolare”.
Trovo l’ispirazione nel dire questo in un recente libro per Einaudi di Salvatore Settis. Quale ambiente, quale cultura, salute educazione? Quale giustizia sociale? Serve un’altra idea di Italia per liberare energie civili, creatività, lavoro. La Costituzione, lo Stato siamo noi. Cittadini responsabili. In prima persona.
You must be logged in to post a comment Login