“Un orto urbano per riempire la borsa della spesa”: è bastato leggere questo titolo apparso su Varesenews – sintetizzava una iniziativa comunale a favore di persone con basso reddito – per far scattare arrugginiti lucchetti di bugigattoli della memoria. Già, gli ultimi orti urbani li avevo visti nella Milano in guerra, Anni 40 del secolo scorso.
Ricordo perfettamente aiuole e piccoli prati coltivati a grano e verdure in una zona, Monforte, che di spazi adatti ne aveva in quantità.
La guerra fu grande sofferenza anche per la popolazione civile, c’era la tessera per comperare il pane e occorrevano i “punti” anche se ci si doveva fare il vestito nuovo. Le cancellate in ferro delle abitazioni erano state requisite per produrre armi, una volta vidi i miei varesinissimi nonni paterni bisticciare perché la Genesia – ero il suo “laurett” – non intendeva mollare alla patria fascista, affamata collezionista di rame, il “calderin” dei suoi numerosi personali caffè quotidiani. Erano tempi non facili, la mamma sfogliava ogni giorno il ricettario dell’agenda della Cirio per trovare ispirazione; a volte in collaborazione con le vicine metteva sul gas pentoloni di pomodori verdi che sarebbero poi diventati una marmellata della quale noi bambini si fingeva d’essere entusiasti. Arrivarono i tempi dei terribili bombardamenti, non a tutti fu possibile lasciare Milano, ma in ogni modo il cibo quotidiano rimase una fatica per la maggior parte delle famiglie.
Le ristrettezze diedero anche adito ai primi episodi di insofferenza, uno dei quali vide protagonisti noi ragazzini. Addestrati da mio cugino Aurelio, più “vecchio” di un anno, avevamo imparato a cantare, sull’aria della celebre canzone di Lale Andersen, il seguente ritornello: “Mentre i ingles mangen i rost a nun me tuca suscià i oss, per te Lili Marlèn, per te Lilì Marlén…“.
Fu un errore cantarlo a squarciagola all’oratorio, ma rimediammo con un lungo silenzio consigliato dagli adulti, insolitamente dolci e persuasivi nell’occasione.
E tale in seguito fu il comportamento di mio padre che seppe renderci avveduti complici nell’ascolto di Radio Londra, dal quale all’interno dell’abitazione per ragioni “logistiche” non potevamo essere esclusi. Fummo fieri d’essere depositari di un segreto di famiglia.
L’ iniziativa degli orti urbani e la grande crisi mi hanno indotto a paralleli indubbiamente forzati, ma è un fatto che viviamo giorni difficili per i quali almeno in termini di solidarietà e collaborazione si dovrebbe recuperare il sentire profondo, l’attenzione al prossimo dei giorni in cui la sofferenza era reale, un male di tutti. Oggi viviamo di corsa, magari al momento ci sentiamo coinvolti in drammi autentici, ma poi li accantoniamo, li rimuoviamo, ognuno per sé e Dio per tutti, l’esatto contrario della rivoluzione cristiana. Esagero? Ma chi si ricorda dei morti e delle distruzioni del terremoto in Emilia, tragedia avvenuta a tre ore d’auto da Varese? E questi vuoti di memoria li abbiamo anche davanti alle sparate elettorali dei partiti, tutti, nessuno escluso da sempre dediti alla conquista di un potere fatto di privilegi per chi lo gestisce e di sacrifici per chi lo subisce. Una vera svolta nel Paese ci sarebbe solo con riforme indilazionabili, prima tra tutte l’abbattimento della casta, il suo dimezzamento. Invece oggi nessuno più ne parla.
Non ho dubbi, sono loro, i partiti, tutti quelli che contano, la Lili Marleen dell’Italia 2013. E nun suscium i oss.
You must be logged in to post a comment Login