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Inizio questa nota con un’affermazione banale, ma che a ben vedere non lo è poi tanto. La forma delle città è diventata indifferente per la mobilità automobilistica, ma non lo è per coloro che si spostano usando il trasporto collettivo, la bicicletta o i propri piedi. Gli autobus non raggiungono gli agglomerati di edilizia a bassa densità sparsi sul territorio, popolarmente identificati con il soprannome di villettopoli, perché non possono infilarsi negli innumerevoli cul de sac che danno accesso ai gruppi di abitazioni mono/bifamigliari. L’uso della bicicletta ha qualche problema se ci sono notevoli dislivelli e non esistono piste ciclabili che non siano comunemente adibite a posteggi informali di auto (pedalare essendo tallonati dalle macchine è francamente orribile). Ma anche coprire determinate distanze a piedi può essere un problema se poi uno scopre che ci sono interi tratti di quel certo percorso privi di marciapiede e, in compenso, attraversati da un intenso traffico automobilistico.
Insomma se uno fa lo sforzo di sbarazzarsi dell’auto, mezzo che può creare l’inconveniente di intrappolarti in interminabili code e riesce ad annullare il beneficio del minore tempo di percorrenza nella ricerca a volte inutile del parcheggio, e deve ragionare sulle forme alternative di mobilità deve necessariamente porsi il problema della forma della città.
Tanto per restare a Varese, è del tutto evidente che una città che si sviluppa sul piano inclinato lago-monte, con un dislivello di circa settecento metri (lasciando perdere la vetta del Campo dei Fiori) è difficile da percorrere in bicicletta. L’unica vera pista ciclabile realizzata, quella che gira attorno al lago e fa involontariamente toccare alla provincia di Varese i primi posti nella classifica dei territori dotati di questa infrastruttura, è in realtà un loisir, un luogo dove divertirsi nel tempo libero facendo del sano movimento. Il bike sharing qualcuno l’ha mai utilizzato? A me sembra completamente inutile se pensato alla scala del centro cittadino che è molto piccolo e misteriose sono le condizioni per il suo utilizzo.
Infine gli spostamenti a piedi si prestano di più al raggiungimento delle attrezzature di quartiere e di quello che resta del commercio di vicinato. Si è fortunati se a piedi si riescono a raggiungere la banca, la posta, la farmacia, e qualche negozio alimentare e non, e se si può evitare di imbottigliarsi nel traffico della prima mattina per accompagnare i figli a scuola. Per tutto il resto, cioè per raggiungere il posto di lavoro, l’istruzione superiore, gli uffici pubblici, le attrezzature sportive, le biblioteche, ma anche le librerie e tutto il commercio specializzato ci dovrebbe essere il trasporto collettivo. Dico ci dovrebbe essere, perché a volte l’autobus ci lascia ad una certa distanza da dove dobbiamo veramente andare e tocca poi camminare, cosa senz’altro sana ma a volte poco sicura, visto che non sempre ci sono i marciapiedi.
Poi c’è il problema della spesa vera, quella che va al di là del pane e del latte o delle patate che ci siamo dimenticati di comperare. Non sempre la linea di trasporto urbano che passa sotto casa si ferma davanti ad un supermercato e fare dei cambi carichi di borse e dovendo aspettare del tempo tra una autobus e l’altro è oggettivamente scomodo.
Insomma, se uno ad un certo punto della propria vita vuole fare a meno dell’auto non deve necessariamente ritrovarsi a vivere tutte le complicazioni che comporta l’intermodalità, cioè il passaggio da un modo e l’altro di spostarsi. Inoltre se si vuole continuare ad avere una vita sociale ed uscire la sera per il cinema, il teatro, la riunione dell’associazione o del partito, ci si ritroverà ad essere dipendenti dall’auto altrui che pietosamente verrà a prenderti e a riportarti a casa. Quindi il nodo centrale da sciogliere nel processo di liberazione dall’auto è l’efficienza del trasporto pubblico.
Varese è una città incastrata tra le colline che anticipano le Prealpi e, tra un quartiere e l’altro spesso c’è di mezzo l’orografia. La maglia viaria si è ovviamente adattata a questi aspetti, che hanno anche determinato gli insediamenti storici attorno ai quali la città si è sviluppata a partire dal XX secolo. Le linee di trasporto pubblico convergono tutte sul centro, dal quale si è costretti a transitare per spostarsi da un quartiere all’altro. Spesso questi spostamenti prevedono il cambio con un’altra linea ed i relativi tempi d’attesa. Ci si può mettere più di mezz’ora ad andare in autobus da Sant’Ambrogio ad Avigno mentre a piedi ci vogliono dieci minuti. Le uniche linee che hanno un percorso in parte circolare sono quelle del trasporto scolastico, se uno riesce a salirci, limitatissime nella frequenza ed inesistenti in estate, stagione infelice per l’utilizzatore di trasporto pubblico che deve fare i conti con l’orario ridotto.
Al di là poi dei percorsi del trasporto pubblico, c’è la questione della sua frequenza. Personalmente ritengo che un trasporto pubblico efficiente non può farti aspettare più di venti minuti tra una corsa ed un’altra. Se non si accorciano le attese utilizzare l’autobus equivale a perdere un sacco di tempo, che nella vita che facciamo è sempre scarso. Quindi, posto che la popolazione varesina sparsa nei venticinque chilometri quadrati dei quali è costituita la superficie urbanizzata del comune, riesca senza dover camminare troppo a raggiungere la viabilità principale sulla quale transitano gli autobus, le difficoltà nel loro utilizzo riguardano i percorsi e la frequenza. Alle condizioni presenti l’auto privata rimane un mezzo di trasporto largamente imprescindibile anche se ci sarebbero i mezzi per convincere persino gli abitanti degli insediamenti a bassa densità volumetrica, con la loro viabilità autoreferenziale, a fare un po’ di moto e a servirsi del trasporto pubblico.
Ma anche rimanendo nell’ambito dell’intermodalità, essenzialmente basata sulla possibilità di usare l’auto il meno possibile e di evitare di intasare il centro, le soluzioni che si possono trovare facilmente non sono nemmeno evocate. Perché non esiste un servizio di navetta ad alta frequenza tra alcune aree di sosta, come i parcheggi della grande distribuzione attestati sui viali di accesso alla città, e le stazioni (da dove parte anche il trasporto suburbano)? Perché non pensare di coinvolgere i taxisti, con un sistema di tariffe agevolate, per il trasporto collettivo nelle ore serali/notturne? Si parla tanto di integrazione tra pubblico e privato, soprattutto quando il vantaggio pende a favore del secondo termine della questione, ma se si devono trovare soluzioni a favore del primo l’immobilismo è assoluto.
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